medioevo
Villa Maria Pia, a oggi uno dei complessi monumentali più ampi e importanti di Alghero, reca con sé una storia variegata e per certi versi misteriosa. L’elemento di maggiore mistero è costituito senza dubbio da un antico edificio che si trova nelle immediate vicinanze della Villa: la cosiddetta “tomba del cavaliere” (foto).
Si tratta di una tomba medievale ad ipogeo (secc. XIV-XVI ca.) in stile gotico-catalano, forse dedicata a sant Jaume (san Giacomo) e indicata nella memoria collettiva come “tomba del generale”, “tomba del principe” o, come già accennato, “tomba del cavaliere”. Raggiungibile attraverso una scala elicoidale, la cripta è costituita da una pianta a tholos coperta con cupola a sesto rialzato e dotata di sei nervature che si raccordano nella chiave di volta all’oculo centrale (vedi foto). La porta d’accesso alla tholos è cuspidata e presenta stipiti modanati.
Il mistero della sepoltura. Come indicano alcune fonti, la tomba potrebbe essere stata il luogo di sepoltura di Don Rambaldo de Corbera, luogotenente generale aragonese dell’Isola, morto di malaria nel 1354, durante l’assedio di Alghero [1]. Altra ipotesi suggerisce che potrebbe trattarsi di un piccolo sepolcro cinquecentesco realizzato da maestranze catalane per accogliere le spoglie di Jayme Amat i Terrè, cavaliere dell’ordine di Santiago e deceduto nel 1524. Grande personalità politica, fu dapprima verghiere di Alghero (1502), poi ricevitore generale delle rendite reali del marchesato di Oristano e della contea del Goceano, luogotenente generale del regno e infine primo console di Alghero [2]. Una terza ipotesi sottolinea che l’ipogeo potrebbe aver ospitato la sepoltura, date le ridotte dimensioni di una cavità rinvenuta nel vano centrale, dell’infante Giacomo nipote di Jayme Amat i Terrè [3].
1850
Dopo il Medioevo, per giungere a nuove informazioni storiche consistenti legate al territorio di Maria Pia bisogna andare avanti di ben tre secoli; più precisamente, intorno al 1850, data in cui alcuni documenti descrivono il territorio come paludoso, malsano, insalubre e totalmente inadatto alla coltivazione.
Va sottolineato che la denominazione ‘Maria Pia’ per designare tale territorio sarebbe giunta solo in seguito, in onore dell’omonima principessa (1934). Nell’Ottocento il territorio era chiamato ‘Cuguttu‘, parola topografica dal significato incerto con cui comunemente si indicava la zona lambita dalle acque dello stagno del Calich e attraversata da una lunga strada sterrata che collegava Alghero a Porto Conte (l’attuale Viale Tore Burruni).
1864
In questa data il Comune di Alghero, considerando le malsane condizioni in cui versa Cuguttu, ne progetta la riqualificazione. Per fare ciò, cede parte del territorio all’amministrazione della Marina – da cui in questi anni dipendono i bagni penali – con l’espressa condizione di farlo coltivare ai condannati. Si ritiene, in particolare, che il prosciugamento dello stagno di Cuguttu potrà arrecare
«immenso vantaggio alla città di Alghero con cessazione, in tutto o in parte, dei miasmi che esalano dallo stagno e corrompono l’aria delle vicinanze, portando coltivazione a terre nuove e fertilissime» [4].
Dopo i primi lavori di bonifica, s’impiantano orti, oliveti e colture da irrigare mediante pozzi e canali. In origine, l’estensione della colonia è di circa 150 ettari, utilizzati quasi esclusivamente per attività miste agro-pastorali. I detenuti risiedono in un edificio che accoglie anche i locali degli uffici e gli appartamenti per le guardie del carcere (l’attuale Villa). Nelle immediate vicinanze, si trovano le stalle e i depositi per gli attrezzi (gli attuali bungalows). Le strutture e i servizi sono dimensionati per una popolazione carceraria di circa 70 reclusi (scelti fra i 700 della Casa Penale di Alghero) [5].
1901-1930
Nei primi anni del Novecento il territorio di Cuguttu inizia a conoscere un lento declino. Nell’agosto 1901, su “Le Cento Città d’Italia” (supplemento mensile illustrato del Secolo XIX), viene pubblicato un ampio servizio su Alghero.
«Un edificio che merita menzione per le sue proporzioni veramente ragguardevoli è l’immenso penitenziario […], un edificio quadrato, di recente costruzione, [che] può contenere più che 700 condannati, e quasi non bastasse, [con] un’ampia succursale nella colonia agricola di Cuguttu, vasta ben 150 ettari e dove si tengono in semi libertà, al lavoro aperto dei campi, quei condannati di migliore condotta, e che sono vicini a riacquistare la libertà».
Nel paragrafo successivo, viene posta una critica allo scarso (anzi, pressoché nullo) rendimento dell’azienda agricola; ma soprattutto chi scrive non si capacita di come
«[le] tante braccia che lo Stato tiene inattive o quasi, nell’ampio reclusorio, [non siano state poste] a far colmare o drenare convenientemente la rete estesissima di stagni e paludi che stanno a ridosso della colonia agricola e che ogni estate spirano su di essa i miasmi pestiferi della malaria». [5]
Nel novembre 1918 un articolo della rivista “Le Vie d’Italia” edita dal Touring Club Italiano (foto), sviscerando la questione delle colonie penali agricole per la riqualificazione interna della Sardegna, in merito a Cuguttu, dice:
«Dopo 54 anni di funzionamento, il bilancio quantitativo è questo: 60-70 lavoratori (reclusi che producono la metà di liberi contadini), metà soltanto del terreno disponibile messo in lavorazione e un reddito ipotetico di 2700 lire. Dunque nulla di rilevante». [6]
Non c’è dunque da stupirsi leggendo i resoconti che, dodici anni dopo, nel 1930, definiscono l’azienda non più florida e ingolfata in uno stato di estrema arretratezza.
Continua in La storia della Villa (seconda parte).
note
[1] Massimiliano Fois e Raffaele Sari Bozzolo, Un’altra Alghero, Alghero, Panoramica Editrice 2008, pag.44
[2] Idem, pp.45-46
[3] Ibidem, pag.47
[4] Archivio Storico Comunale di Alghero, Igiene Pubblica, Lettera del Sottoprefetto al Sindaco di Alghero, Fasc.8. Cfr. altresì la delibera del Consiglio Comunale n.187 reg. n.23, deliberazione n.102 e ancora i fasc.6-7-8-9 relativi alle opere di bonifica in regione Cuguttu.
[5] Le Cento Città d’Italia – Supplemento mensile illustrato del Secolo, n.12701 (31 agosto 1901, ed. E. Sonzogno, Milano). Ristampa contenuta in “L’Italia fine Ottocento – Storia Costumi Tradizioni” a cura di Isora Tagliavini, Edizioni Edison, Bologna (pag.61). Per leggere l’intero paragrafo dedicato a Cuguttu, cliccare qui.
[6] I tentativi di colonizzazione interna in Sardegna mediante le colonie penali agricole, “Le Vie d’Italia”, Touring Club Italiano, Anno II – n.11, novembre 1918. Una descrizione del numero della rivista è consultabile sul sito di Sardegna Digital Library. Per scaricare direttamente la rivista in formato pdf, cliccare qui.